Lo stile della scrittura altro non è che la voce dell’autore. Include non solo le parole che scegliamo, ma anche il modo in cui le impiliamo l’una sull’altra, la velocità con cui mandiamo avanti la storia, la suddivisione dei paragrafi. Ritmo, registro e sintassi sono la forma della nostra storia.
Lo stile della scrittura: qual è il migliore?
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Rispondo subito: checché se ne dica in tutti i corsi di scrittura, non esiste uno stile migliore di un altro. Che sia asciutto, barocco o una fusion, a ognuno il suo. Oggi va di moda un certo stile, nel passato un altro. Quello odierno è semplice e piatto, frutto della diffusione universale della lettura. Eppure lo stile è la voce dell’autore e solo quest’ultimo può decidere in quale sentirsi più a proprio agio.
Ergo: non farti condizionare da chi ti dice di scrivere così o colà. Fino a che il tuo testo è pulito e la grammatica corretta, sei nel giusto.
Il suono è la base dello stile, prima di tutto il resto
Prendi una frase, tua o del primo libro che hai sotto mano, e leggila ad alta voce: quel suono è la musica della prosa. Gli elementi più basilari dello stile sono le lettere. Pensa se scrivessi solo così, una sequenza di “s” che si susseguono, come sarebbe la prosa? Un po’ faticosa, se letta ad alta voce, no? Riportando parecchie “r” la frase riecheggia in un’altra maniera.
Pensa alla melodia della tua prosa e scegli attentamente le lettere, ovvero i suoni. Dopo aver scritto, rileggi sempre ad alta voce. Ricorda che se c’è troppo di un suono, deve essere lì per una ragione ben precisa, come nell’onomatopea, altrimenti è meglio evitarlo del tutto e mantenere un equilibrio acustico.

Punto di vista e narratore
La forma
Esistono due tipi di stile agli antipodi. Potremmo dire che a un capo c’è lo stile asciutto, senza tanti aggettivi né avverbi. Le frasi sono corte e dirette: soggetto verbo complemento, senza tante giravolte. Le descrizioni sono essenziali, al midollo.
All’altra estremità c’è invece lo stile barocco, molto ornamentale, abbondante di aggettivi e avverbi, con frasi concatenate in subordinate, mentre le descrizioni abbondano di dettagli.
La maggioranza degli scrittori di oggi sono da qualche parte nel mezzo.
Voglio ribadire che nessuno stile è meglio di un altro, come ogni persona ha la propria voce, così ogni autore ha la propria prosa. Inoltre, essa potrebbe essere condizionata dal contenuto: lo stile deve anche tener conto dello scopo della storia. Stile e tema di solito sono connessi.
Qui di seguito voglio mostrarti due illustri esempi per meglio dare l’idea di ciò di cui sto parlando.
Canto di Natale
di Charles Dickens
Oh! ma che stretta sapevano avere le benedette mani di cotesto Scrooge! come adunghiavano, spremevano, torcevano, scuoiavano, artigliavano le mani del vecchio lesina peccatore! Aspro e tagliente come una pietra focaia, dalla quale nessun acciaio al mondo aveva mai fatto schizzare una generosa scintilla; chiuso, sigillato, solitario come un’ostrica. Il freddo che aveva di dentro gli gelava il viso decrepito, gli cincischiava il naso puntuto, gli accrespava le guance, gli stecchiva il portamento, gli facea rossi gli occhi e turchinucce le labbra sottili, si mostrava fuori in una voce acre che pareva di raspa.
Sul capo, nelle sopracciglie, sul mento asciutto gli biancheggiava la brina. La sua bassa temperatura se la portava sempre addosso; gelava il suo studio né giorni canicolari; non lo scaldava di un grado a Natale.
Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona di Scrooge. L’estate non gli dava calore, il rigido inverno non lo assiderava. Non c’era vento più aspro di lui, non c’era neve che cadesse più fitta, non c’era pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva da che parte pigliarlo. L’acquazzone, la neve, la grandine, il nevischio, per un sol verso si potevano vantare di essere da più di lui: più di una volta si spargevano con larghezza: Scrooge no, mai.»
Un esempio di stile di scrittura barocca
Charles Dickens amava il teatro e le scenografie. Per lui le storie erano visive e tendeva a riempire le proprie descrizioni di tanti dettagli.
È ornamentale, le subordinate rendono ogni frase lunga diverse righe; ci sono innumerevoli aggettivi, così come dettagli e paragoni. La nostra mentre vede quest’uomo accartocciato dall’avarizia, che pare un’ostrica sola in un mare freddo. Oggi questo stile di scrittura non va di moda, perché “non abbiamo tempo” né la pazienza di leggere così tanti dettagli, eppure io lo trovo affascinante perché mi sembra che Scrooge sia qui oltre la mia scrivania.

I viaggi di Gulliver
di Jonathan Swift
Mio padre era un piccolo possidente della contea di Nottingham, ed io ero il terzo dei suoi cinque figli. Avevo quattordici anni quando fui mandato a Cambridge, nel Collegio Emmanuele, ove studiai con molta diligenza. Ma dopo qualche tempo la mia famiglia non poté sostenere la spesa, tuttoché modesta, della mia pensione, sicché dovetti lasciare il collegio e sistemarmi a Londra presso il celebre chirurgo Giacomo Bates, dal quale rimasi quattro anni come apprendista. Ma io sentivo che il mio destino m’avrebbe portato a viaggiare per mare, sì che ogni piccola somma che mio padre buon’anima ogni tanto mi mandava, io l’impiegavo nello studio delle matematiche e della navigazione. Infine riuscii a cavar di sotto a mio padre, a mio zio e a qualche altro parente una quarantina di sterline, oltre alla promessa d’una pensione di trenta sterline all’anno, e con questi mezzi mi recai a Leida per laurearmi in medicina; ciò che feci dopo due anni e mezzo, ripromettendomene gran profitto nei miei futuri viaggi di lungo corso. Tornato in Inghilterra, ottenni, grazie alle raccomandazioni dell’ottimo signor Bates, il posto di chirurgo sulla Rondine comandata dal capitano Abramo Pannell, e per tre anni e mezzo viaggiai in Levante e altrove. Al mio ritorno decisi di stabilirmi a Londra; Bates m’incoraggiò in questa idea e mi presentò a parecchi dei suoi malati. Presi in affitto un quartierino in una casetta dell’Old Jewry e vi portai la mia giovane moglie, Maria Burton, seconda figlia di Edmondo Burton berrettaio nella via di Newgate; essa mi portò quattrocento sterline di dote.
Un esempio di stile di scrittura asciutta
Agli antipodi riporto l’incipit del libro che sto leggendo adesso: I viaggi di Gulliver. In quest’opera di totale fantasia, le descrizioni sono ridotte all’osso per uno scopo ben preciso.
Perché Jonathan Swift sceglie proprio questo stile fattuale? Numeri su numeri, la sua giovinezza racchiusa in poche righe, soggetto verbo oggetto senza tanto cincischiare? Per creare fiducia nel lettore: riportando fatti facilmente calcolabili, porta chi legge a “credere” in tutto ciò che dice così che poche pagine dopo i suoi viaggi fantastici appariranno autentici. Il narratore sta raccontando tutta la verità, nient’altro che la verità, senza bisogno di esagerare. Lo stile serve sempre lo scopo della storia.
Lo stile della scrittura e le descrizioni
Al giorno d’oggi si è più propensi a scrivere come Swift anziché come Dickens. Nei corsi di scrittura creativa si predicano le descrizioni asciutte, la sottrazione degli aggettivi e dei dettagli superflui. Ciò non significa che il testo perde di valore: prendi Carver, il maestro dello stile asciutto eppure abilissimo nel mettere sotto i nostri occhi un’immagine completa.
di Raymond Carver
C’era questo cieco, un vecchio amico di mia moglie, che doveva arrivare per passare la notte da noi. Gli era appena morta la moglie. E così era andato a trovare i parenti di lei in Connecticut. Aveva chiamato mia moglie da casa loro. Avevano preso accordi. Sarebbe arrivato in treno, un viaggio di cinque ore, e mia moglie sarebbe andata a prenderlo alla stazione. Non l’aveva più visto da quando aveva lavorato per lui un’estate a Seattle, dieci anni prima.
Così si apre il racconto “La cattedrale”. In 5 righe sappiamo presente, passato e futuro dell’evento narrato.
Questo stile apprezzato dai contemporanei lascia, inoltre, un ampio margine di immaginazione. Se scrivo che il mio personaggio “è seduto di spalle a un tavolo di legno con sopra un libro, una penna e un calamaio e il pavimento è ricoperto da carte appallottolate” ho reso l’idea in pieno con un solo aggettivo. Sta al lettore vedere se il tavolo è di mogano o di quercia, la penna bianca o dalla piuma grigia, il calamaio mezzo pieno etc.
Gli avverbi
Accade la stessa cosa per gli avverbi. Pensate a un testo colmo di improvvisamente, duramente, solitamente, sicuramente, ma anche di “magari” “forse” “soltanto”… Apparirebbe molto pesante, no? Come dice Stephen King gli avverbi, specie quelli in -mente, sono utilizzati dagli scrittori che “hanno paura”. Si pensa che grazie ad essi daremmo un’idea molto più precisa al lettore, ma in realtà il testo ne è solo appesantito. Fidati di te stessa e lascia fluire le parole dalla penna.
Un esercizio di stile
Se sei alla ricerca della tua voce, del tuo stile di scrittura, ti consiglio questo esercizio dalla Masterclass di Margaret Atwood.
Pensa a un evento e mettilo sul foglio utilizzando uno stile asciutto. Bastano un paio di paginette o anche meno. Poi riscrivilo da capo in uno stile barocco.
Se sei agli esordi, non avere vergogna ad imitare lo stile di altri scrittori. Perché non provare a scrivere un evento come Dickens, uno come Carver e uno come Swift? Oppure apri un libro a caso della tua libreria e allenati utilizzando lo stile di scrittura di quel dato autore. Sei qui per giocare, null’altro.
Qual è lo stile più consono alla tua storia? Fammelo sapere nei commenti!

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